Una Stella per Natale – Ughetta Aleandri




Dalla finestra della sua stanza, vedeva le montagne lontane, coperte dalla prima neve. Guardava il cielo, grigio e terso che, all’ultima luce del tramonto, sembrava metallizzato e un po’ spettrale. Immobile, persa in quel paesaggio, ascoltava il suo cuore che gridava una preghiera. Ma, improvvise, le luci intermittenti degli addobbi natalizi, salirono dalla strada a ferirle gli occhi. Di scatto, abbassò la serranda, poi si buttò sul letto e pianse.
 Da mesi lei piangeva, piangeva e pregava. Da quando il suo amore era morto in quel maledetto incidente. Laura chiedeva un miracolo.
“Signore, una volta sola. Solo una volta: per vederlo ancora, per stringerlo tra le braccia, per l’ultimo bacio che non abbiamo avuto.”
Ogni attimo del giorno, ogni istante della notte, il suo cuore gridava questa preghiera.
Anche quella sera, alla debole luce della lampada, guardava la foto che stringeva nella mano. Lui e lei: belli, giovani, innamorati, felici, il Natale dell’anno precedente. Un mercatino austriaco, una slitta trainata da renne di cartapesta, in testa cappelli rossi e lucine lampeggianti. Erano così, in quella foto scema. Avevano comprato una stella che sembrava di ghiaccio e che mandava bagliori arcobaleno. Ma la stella era caduta, sbriciolata in frammenti minuscoli. La stessa cosa era accaduta ai suoi sogni. Laura stringeva quella foto, pensava a lui e piangeva.
 All’improvviso, uno strano odore che aleggiò nella stanza, le provocò un conato di vomito.
“C’è qualcosa, qui dentro, che puzza” mormorò spaventata.
“Non temere, sono io.”
La stanza era in penombra e Laura, non riusciva a vedere chi stava parlando da quell’angolo buio. Una paura gelida si era impadronita di lei.
“Io chi? Chi sei?”
La voce roca, un rantolo, un gorgoglio privo di corde vocali, la fece rabbrividire.
“Sono io, amore, mi stavi aspettando. Sono tornato per asciugare le tue lacrime e consolare il tuo cuore. Guarda ti ho portato una stella. Il mio regalo per te.”
Dal buio, seguendo quella voce, emerse una figura lacera, sporca, maleodorante.
“Un barbone puzzolente, si è introdotto in casa.”
Cercando di mantenere la lucidità, afferrò il cellulare dal comodino.
“Vattene o chiamo la polizia!”
“Laura sono tornato per te, per l’ultimo abbraccio, per l’ultimo bacio che tanto desideri.”
Lui si avvicinava, porgendole la stella che emanava una luce gialla, malata, pulsante come un cuore morente.
Uno zombie, non era possibile, quello zombie non poteva essere Luca.
Il corpo gonfio, la carne putrida che cadeva a brandelli, il naso corroso. Le labbra consunte, lasciavano scoperti i denti in un sorriso maligno e poi…non aveva più il coraggio di guardare. Ma l’odore, quell’odore asfissiante che le bruciava le narici, le chiudeva la gola e le rovesciava lo stomaco, non poteva fare a meno di sentirlo. La sua preghiera era stata esaudita, ma non era quello l’uomo che voleva, l’uomo che aspettava, il suo amore perduto.
“Vattene, tu non sei Luca!”
“Amore sono io, che ti stringo a me in questa foto. Non mi riconosci? Abbracciami, abbiamo aspettato tanto questo momento.”
Laura si guardava intorno cercando una via di fuga. Ma quell’essere ripugnante sbarrava la porta. Avrebbe voluto infilarsi sotto il letto come faceva da bambina se si sentiva minacciata. Quel mostro avanzava verso di lei e più si avvicinava, più il fetore diventava insopportabile. Lanciò contro lo zombie, tutto ciò che le capitava a tiro. Ostacoli insignificanti, nulla sembrava fermare quella figura infernale. Non aveva nessun nascondiglio in cui ripararsi, non aveva niente per difendersi. La stanza era piccola e lui l’avrebbe raggiunta con pochi passi, lunghi incerti, traballanti. La finestra, corse verso la finestra e l’aprì: il tanfo sarebbe scomparso e anche quella visione orribile. Ma lui l’amava, voleva esaudire la sua preghiera, così sincera, così disperata e intensa, da avere la forza di richiamarlo in questo mondo.
“Amore, finalmente siamo insieme, sarà per l’ultima volta. Rendiamo questo attimo indimenticabile.”
Laura lo guardava ipnotizzata, qualcosa di familiare emanava da quell’ essere immondo. Il pensiero che potesse essere veramente Luca, tornato dal mondo delle ombre, cominciava a farsi strada nella sua mente allucinata. Era stata la forza del suo amore a richiamarlo, non poteva respingerlo così, non poteva rinnegare un sentimento così forte. Perché quell’amore bruciava vivo in lei, intatto, come allora.
Chiuse gli occhi per non vedere, per superare le apparenze, per lasciare parlare solo le loro anime. Mosse un passo incerto verso di lui. Era il suo cuore che la spingeva a quell’abbraccio, mentre il suo corpo rifiutava, con tutte le sue forze, quel contatto schifoso.
“Vieni da me, prendi la stella. È il mio dono di Natale!”
Laura sentì, in lontananza, le campane di mezzanotte. La invase la dolcezza di quel suono e fece un’altro passo: ora erano vicini.
Sentì sulla spalla una mano viscida, umida di liquidi infetti, un braccio molle e gonfio che le cingeva la vita come un serpente velenoso, un alito putrido e ripugnante che le sfiorava il collo, quello che rimaneva del viso di Luca che cercava il suo viso.
Ma fu troppo l’orrore, non riuscì resistere, non bastò il suo amore per superare il ribrezzo.
Terrore, nausea si impadronirono di lei, doveva fuggire. L’unica salvezza era la finestra, l’unica possibile via di fuga da quell’abbraccio immondo, da quell’incubo sconvolgente. Poi, la sua mente non riuscì più a sopportare quell’orrore: precipitò in un abisso di buia follia, mentre il suo corpo volava giù dal quarto piano.
La trovarono dei passanti di ritorno dalla messa di Natale. Schiantata a terra, disarticolata, il cranio fracassato sul marciapiede. In mano, teneva stretta una foto che aveva portato con sé.
La mattina tutto il vicinato parlava di quella ragazza suicida per amore.
“Che destino, così giovani e innamorati! Prima lui e poi…”
“Poverina, non ha resistito al dolore. Il Natale è proprio un brutto periodo, per chi non è felice.”


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