Un giorno sulla Terra – Alessandro Fiorencis
Non è che io mi sia mai chiesto che emozioni suscita il Natale, è solo che quando arriva riesco a capire il perché dell’impennata di depressione e suicidi.
L’atmosfera è curata e perfetta nel dettaglio, ma solo la confezione è alla portata di tutti.
Il contenuto – gli affetti – o già lo possiedi, o la sua mancanza verrà messa impietosamente a nudo e ingigantita da un’atmosfera in cui la felicità diventa un obbligo da assolvere secondo dinamiche che non tutti riescono a controllare.
Proprio a questo si riferiva vagamente il primo di ieri.
Battezzato Gianluca in un giorno di trentasei anni prima, cresciuto chiuso e introverso in un mondo che si era giocoforza imposto di affrontare con ostinata coerenza e intransigente fermezza.
Gli era costato molto redigere quella lettera indirizzata non sapeva nemmeno a chi (non era stato capace di coltivare alcun rapporto umano), e a cui aveva cercato in tutti i modi di infondere un senso di serena e sicura bontà, non perché si sentisse in obbligo ma perché era questo l’atteggiamento con cui si disponeva a compiere il passo.
Non si lamentava di niente, era passato quel tempo, solo raccomandava a tutti di vivere la propria vita, e di non fermarsi mai a interrogarsi sul suo scopo.
Si è appeso con una cintura alla porta della sua camera da letto, e io l’ho guardato sconfiggersi e l’ho lasciato fare, e quando ha smesso di scalciare si è alzato e mi ha visto, e la sua anima era afflitta e desolata, e gli ho comunicato che da lì in poi esisteva solo rassegnazione.
– Cosa devo fare? – mi ha chiesto, ancora stolidamente attaccato a ciò che non era più.
Ida e Alberto erano riusciti ad accogliersi l’un l’altra, e condividevano un percorso da sessantaquattro anni. Otto mesi prima un’infezione di poco conto si era subdolamente estesa e impadronita di Ida. Alberto le era sopravvissuto otto mesi. Troppe le energie investite in quel legame.
Irrimediabilmente certo di aver irrimediabilmente perduto qualsiasi possibilità di completezza, ha lasciato il cane che anche lei amava a un amico fidato che ha solo vagamente intuito la situazione e ha rivolto contro di sé il fucile da caccia, pulito e ingrassato per l’occasione.
Quando è stato in grado di riconoscermi, i suoi occhi smarriti nemmeno per un attimo sono stati capaci di posarsi su di me, né su nient’altro.
L’ho lasciato confondersi nel suo percorso.
La stessa rotazione terrestre ha portato a maturazione il caso di Fernanda, ventotto anni, scontenta di sé e stanca di sentirsi usata. Indurirsi e perorare la propria causa era stata una reazione orgogliosa ma controproducente. Le porte in faccia erano aumentate. La sensazione era quella di completa e assoluta impotenza. La situazione economica non l’aiutava.
Si è defenestrata in perfetta solitudine dall’ufficio in cui lavorava, quasi per beffarda vendetta, al terz’ultimo giorno del suo contratto a termine, e io ho osservato la parabola del suo corpo atterrito terminare fra gli scalini d’entrata e la terra dura di un’aiuola stecchita dal gelo.
L’ho confortata e le ho offerto la pienezza di un supporto imperturbabile, e le ho detto che intendevo servirmi della sua determinazione. La sua anima si è illuminata, e ha fatto la sua scelta.
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