Un buon marito – Nicky Bit




Erano passate solo tre ore dalla sepoltura di Giulio. Era la Vigilia di Natale e Cristina era sola, con l’album dei ricordi sulle ginocchia. Che ci faceva ancora in quella casa enorme, così silenziosa e fredda? Pianse sommessamente, poi tirò su le ultime lacrime col naso. «Tic, toc, tac…». Fece per la prima volta caso allo stillicidio in cantina. Chi riparerà i piccoli guasti, chi penserà adesso alla manutenzione della casa? Fu percorsa da un brivido… quel gelido inverno sarebbe stato lunghissimo! Cercò di scaldarsi col tepore dei ricordi.
Che uomo straordinario era Giulio, così dolce e premuroso… Come l’aveva definito il sacerdote nell’omelia funebre? “Un rabdomante del buon umore, che sapeva sempre in quale punto scavare per far sgorgare una risata”. Era vero, ah se era vero!
«Tic, toc, tac…». Com’erano stati tutti carini, con lei: “Cristina, se vuoi qualcuno con cui parlare… Cristina, per qualsiasi cosa ci siamo noi… Cristina, ti aspettiamo per cena, mi raccomando…”. Era davvero fortunata ad abitare nel borghetto. Un’oasi di pace lontano dai guai della città, dallo stress, dalla follia della gente. Un luogo dove elaborare in pace il lutto, quel tremendo lutto che aveva colpito la sua vita sino ad allora perfetta. Perché a lei? Pianse ancora, finché la luce e gli occhi arrossati non le permisero più di distinguere i volti nelle fotografie che aveva in mano. Scese le scale e raggiunse la sala da pranzo. Non sentì il profumo dello spezzatino che le piaceva tanto; Giulio era un cuoco sopraffino. Faceva freddo, si strinse nelle braccia. Sorrise piangendo, quando si accorse che nel camino spento c’erano i ceppi già sistemati dal marito. Prese la scatola di fiammiferi per accendere la diavolina. Una fiamma intensa divampò dal basso e lingue di fuoco accarezzarono la corteccia dei tronchi, illuminando un cappello di lana finito tra la legna da ardere. Cristina raccolse velocemente la pinza di metallo e riuscì a salvare il berretto dalle fiamme. Si sedette sul divano ad accarezzare quel cappellino da bambina. Come ci era finito lì? Un altro scherzo del destino, il dito nella piaga per la figlia che avevano sempre desiderato e che non era mai arrivata. Povero Giulio, che padre perfetto sarebbe stato. Entrambi sapevano che era Cristina, a non poter avere figli. Il suo ventre era arido come terra ghiacciata, ma Giulio aveva rinunciato all’idea di diventare padre in silenzio. Quanto l’amava!
«Tic, toc, tac…». Quelle gocce insopportabili, l’indomani avrebbe chiamato il Signor Benni per riparare quel tubo in cantina. Ma quel cappello? Praticamente tutto il borghetto aveva messo piede a casa sua nelle ultime ore. Le figlie della lattaia, la piccola Denise dei Brosio? Quant’era cresciuta Denise, una vera signorina. Chissà se le nuove generazioni sarebbero rimaste nel borghetto, in quell’angolo di paradiso. In fondo, come lo avevano trovato loro quando decisero di comprare casa. Pareva allora di vivere un sogno, nessuno avrebbe mai immaginato che la morte li avrebbe scovati tra quei casolari in campagna. Maledetta Morte! Almeno, lei poteva piangere su una bara, su una croce al cimitero. Che dire di tutte quelle persone che scomparivano, di cui non si sapeva più niente? Che mondo orribile era diventato per crescere un figlio. Forse era per questo motivo che Dio non le aveva concesso il dono della maternità, per preservarla da chissà quali dolori. Ma adesso che Giulio non c’era più, il suo amatissimo Giulio, tutto aveva perso importanza; Natale compreso. La stella cometa della sua vita si era spenta all’improvviso… per sempre.
«Tic, toc, tac…». Dannatissime gocce! Giulio non avrebbe mai permesso che quel fastidioso rumore continuasse a torturare le orecchie della sua amata. Lui era perfetto, non come i suoi vicini ipocriti. Ora che era diventata vedova, l’avrebbero guardata con occhi diversi, ne era certa. «Maiali, pervertiti… Tutti quanti messi insieme non valete un decimo del mio Giulio! Non voglio aiuti da voi, me la sbrigo benissimo da sola!»
«Tic, toc, tac…». La porta della cantina era chiusa. Provò tutte le chiavi senza riuscire a trovare quella giusta. Non se ne sorprese, ci pensava sempre Giulio ad andare di sotto. “Che caro!”
Cercò il suo portachiavi. La seconda che provò, fece girare la toppa e la porta si aprì. Niente luci, solo un vento gelido risalì le scale. Cristina scese tastando il muro ruvido. Al penultimo scalino, il piede affondò senza trovare appoggio e cadde per terra.
«Tic, toc, tac…». Strisciò sul pavimento, in direzione del rumore. «Tic, toc, tac…». Era vicina e percepì un odore dolciastro. «Tic, toc, tac…». Ma che stava succedendo? Invocò il nome del marito, la sua mano scivolò sul bagnato. «Tic, toc, tac…». Una catenella sfiorò la sua guancia. La tirò per sollevarsi e una serie di luminarie colorate presero gradualmente ad accendersi, adagiate ai rami di uno splendido albero di natale. Nel tremore della luce ronzante apparve un pupazzo di neve, semisciolto, dal quale cominciava ad emergere un corpicino avvizzito e giallastro. Per terra, una pozza rossa si allargava silenziosa, sulla quale si specchiava intermittente il viso di una bambina. La donna era in piedi che osservava ad occhi spalancati quello spettacolo raccapricciante. «Che hai fatto, Giulio…» disse piangendo «è il più bel regalo di Natale che abbia mai ricevuto!»


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