Spirito Natalizio – Giuliana Ricci
Tutto cominciò quando venne la sarta a prendere le misure di Anna, mia sorella, che voleva un vestito nuovo per la festa di Natale perché coincideva con il suo sessantesimo compleanno. Avevo appena attraversato il corridoio inseguendo il profumo di caffè preparato da mia nipote Luisa quando la sarta lanciò un urlo. Mi affacciai alla porta della cucina per vedere cosa fosse successo. La ragazza si era accasciata su una sedia, era bianca come la neve e aveva le labbra esangui. Mentre era scossa da un tremito violento, Anna le teneva le mani e le parlava cercando di calmarla:
– Su, mi dia retta signorina. Un fantasma – diceva – Non può essere. Tutte abbiamo delle strane impressioni a volte. È la tensione nervosa … o la mancanza di sonno … – ma alla fine rimase senza parole.
La ragazza scosse la testa e si alzò per andarsene in tutta fretta, dopo aver puntualizzato di portarle il vestito alla sartoria per completarlo. Il fatto, di per sé, sarebbe stato molto comico, se non avesse comportato conseguenze più serie.
Lo stesso copione fu ripetuto dalla nostra vicina di casa, un pomeriggio che venne a portarci un regalo. Anche quella volta non vi prestai molta attenzione. Erano tutte sciocchezze ma Anna crollò. Andò a sedersi sul gradino del portico di casa, dopo che la vicina se n’era andata, e si mise a piangere. Se questa cosa si fosse risaputa, nessuna delle sue amiche sarebbe venuta più a trovarla. Nessuno sarebbe più venuto al pranzo di Natale.
Inevitabilmente, la storia del fantasma si sparse nel quartiere e la nostra casa divenne meta di curiosi che, però, ne evitavano l’ingresso come la peste. Luisa si manteneva scettica e quando Anna le parlava di questa presenza che, in rare occasioni avvertiva aggirarsi per le stanze, francamente ne sorrideva. Solo che un giorno, mentre saliva le scale, udì un leggero fruscio dietro di lei. Si arrestò, si volse indietro, non vide nessuno e così ebbi la possibilità di sentire l’urlo più lacerante che un paio di orecchie possano sopportare. Più tardi disse che l’immaginazione l’aveva tradita, che era stato uno scherzo della fantasia ma, da quel momento, quando camminava per casa, alle volte, la vedevo fermarsi in ascolto di un rumore di passi.
Dovevo riportare la normalità in quella casa, lo avrei fatto ad ogni costo e diedi vivo sfogo alle mie proteste. Fu così, che credetti di aver riportato le mie coinquiline alla ragione e non mi accorsi di ciò che andavano tramando alle mie spalle. Me ne resi conto un pomeriggio: mia sorella stava sul divano con un giornale in mano, ma non stava leggendo e teneva gli occhi fissi davanti a sé con una strana espressione. Luisa aveva aperto la bocca per parlarle ma lei le aveva fatto cenno di essere prudente. Luisa aveva annuito ed erano uscite di casa. Pensavano di averla fatta franca ma io le avevo viste e potevo osservarle dalla finestra di sala. Purtroppo, erano troppo lontane per sentire le loro parole.
Cominciai a tenerle d’occhio, e tanto feci, che alla fine quell’atmosfera anomala finì col contagiare anche me: una sera, mentre rientravo, vidi un’ombra scura avvicinarsi a una delle finestre e osservare dentro casa. Il cuore mi mancò. Contro la luce che usciva dalla finestra potevo riconoscere i contorni di una figura maschile ma, per quanto l’aspetto mi piacesse poco, c’era in essa qualcosa di familiare. Dopo aver fatto dei gesti, l’uomo andò al portone che gli fu aperto da Anna, tutta cerimoniosa. Riconobbi il nostro parroco che quell’anno, su richiesta di Anna, benedì per la seconda volta la nostra casa pochi giorni prima di Natale.
Tutto questo complotto si rivelò inefficace, ma fu utile a me perché dalle lamentele fatte durante la benedizione, mi fu chiaro lo stato reale di tutta la faccenda. Anna continuava a parlare di una presenza sempre più invadente e desiderava conoscerne l’identità: ciò che più la turbava era non sapere da chi fosse rappresentata questa minaccia. Forse, non avevo affrontato la situazione nella giusta maniera ma l’atteggiamento, caparbio e cieco, con cui si allontanavano da me mi feriva tantissimo. È triste non essere compresi.
Arrivò il giorno di Natale. Tutto era stato preparato ad arte: tavole ben apparecchiate, un’eccezionale varietà di cibi e bevande, tanti festoni colorati per dissimulare l’atmosfera tetra degli ultimi giorni. Fu così, che per orgoglio o per dispetto, il mio risentimento mi spinse a raggiungere il gruppo di amici e parenti che stavano nella sala: la mia presenza era giusta e legittima quanto quella delle mie coinquiline.
Un ospite, seduto in corridoio con un bicchiere in mano e una sigaretta, si voltò al mio passaggio; non dimenticherò mai il modo in cui mi guardò. Come non dimenticherò mai l’espressione sorpresa delle due invitate che incontrai più avanti. Erano tutti segnali ammonitori di quanto, al momento, ero mal vista in quella casa. Nessuna manifestazione di simpatia: per tutti quanti ero una presenza intrusa e indesiderata, un fantasma. Tenni duro e li affrontai con coraggio come si addice a chi non ha intenzioni malevoli.
Facevo affidamento sull’affetto che Anna e Luisa mi avevano sempre mostrato. C’era tuttavia una remota e terribile possibilità: se dopo quello sforzo con cui ero emersa da tetri abissi, a dispetto di ogni convenienza, anche loro mi avessero guardato con orrore? Tremavo a quella prospettiva: con un solo moto di repulsione, un’espressione di timore, o un solo momento di esitazione, le persone a cui tenevo di più al mondo avrebbero potuto uccidermi. Sarei morta una seconda volta e, in questo caso, lo sarei stata in modo definitivo.
Ma quando le raggiunsi, vidi che i loro volti esprimevano sofferenza per la mia sorte e tutto l’amore che mi avevano voluto ancora persisteva. Compresero che la presenza ero io, solo io che ancora volevo star loro vicina. Fu così che passai il più bel Natale della mia esistenza. E, in qualche misura, tutto ciò lascia supporre che in futuro ve ne possano essere altri.
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