Rosso Natale – Simone Porceddu




«Si mamma. Verso le nove dovrei essere a casa.»
«Marica doveva andare a lavoro, non poteva accompagnarmi.»
«Due regali…»
Lisa guardò lo schermo del telefono, un messaggio la informava che era scarico.
Lo mise in tasca e sbirciò i pacchi regalo dentro le buste: intravide verdi alberelli sulla carta con cui erano confezionati.
La sala d’attesa era piccola, si chiese come avesse fatto a ospitare tutti i bambini accorsi per vedere Babbo Natale, e consegnargli le letterine.
La festa era finita, rimaneva soltanto uno striscione sbilenco con la scritta “W IL NATALE”. Sotto di esso un’enorme sedia a dondolo, un abete mal decorato e della neve finta; le pulizie erano state rimandate al giorno seguente.
Fissò il tabellone con gli orari, ancora quindici minuti d’attesa, tutto il tempo per andare al bagno; trascinandosi dietro le buste uscì dalla sala d’attesa. L’ora era tarda e i passi risuonavano nel silenzio assoluto.
Entrò in bagno (le signore a destra), pensava alla faccia di Marta intenta ad aprire il suo regalo, quando sentì che calpestava qualcosa di liquido, abbassando lo sguardo vide che si trovava in mezzo a una pozza di sangue. Con orrore notò la sua immagine riflessa nel rosso vivo.
Corse fuori urlando, lasciando cadere la borsa e le buste con i regali.
L’ufficio del capostazione era a due metri, bussò ripetutamente alla porta, il battente si aprì, rivelando ai suoi occhi verdi nuovo orrore.
Nella sua divisa insanguinata vide un uomo che giaceva al suolo supino, gli occhi fissavano senza vita il soffitto. Si teneva un profondo squarcio sul ventre nel vano tentativo di impedire al sangue di fuoriuscire.
Alle sue spalle, oltre i due binari illuminati udì un rumore, si voltò piano, la schiena pervasa da brividi.
Lentamente prese forma una sagoma: un signore sui cinquant’anni avanzava con passo incerto da ubriaco. Il cinturone slacciato ondeggiava a ogni passo, la barba finta pendeva di lato al viso. La giacca rossa, sbottonata, lasciava intravedere una maglietta bianca chiazzata di sangue, il capello a punta minacciava di cadere da un momento all’altro.
Babbo Natale?
«Signore… si sente bene?» disse singhiozzando Lisa, «cos’è successo?»
Babbo Natale continuava nel suo lento incedere, gli occhi assenti e cerchiati di rosso, la pelle di un colorito bianco malaticcio.
Lisa indietreggiò verso la sala d’attesa, «signore… il capostazione è morto.»
Non ebbe nessuna risposta, l’uomo salì sulla banchina, spalancò la bocca; con orrore la ragazza osservò che si apriva innaturalmente, quasi a occupare tutto il volto.
Si precipitò dentro la sala d’attesa chiudendosi la porta alle spalle, sentì un tonfo sordo nel vetro, che si bagnò di spruzzi di saliva. Il cappello finalmente cadde, rivelando la fronte calva ricoperta da sottili vene scure.
L’uomo iniziò a colpire il vetro con i pugni, insensibile al dolore, menava colpi che facevano tremare la porta. Lisa lasciò andare la maniglia, attraversò la sala d’attesa e uscì nel piazzale che fungeva da parcheggio.
Era uno spiazzo circolare ricoperto di cemento, al centro un lampione sfarfallante formava un cono di luce: fatta eccezione per la stazione, tutt’intorno era buio.
Si mise sotto il lampione, le porte a vetri lasciavano intravedere la sala d’attesa.
L’uomo non c’era più.
Tremante di paura e di freddo abbracciò inconsapevolmente il palo, quasi a trarne conforto, nel silenzio totale si udiva solo il battere dei suoi denti.
Le luci della sala d’attesa si spensero, Lisa emise un gridolino sommesso, guardandosi attorno freneticamente, cercando di penetrare il buio con i suoi occhi.
Il terrore la incollava al palo, il cerchio luminoso sul cemento delineava un isolotto su di un mare in tempesta. Udì alcuni passi nel buio, poco dopo un frusciare di vesti e il tintinnare di una fibbia. Lisa lo immaginava aggirarsi nell’ombra, contemplare la preda con occhi famelici. Sentì un sibilo, una specie di sospiro, come una canzone cantata sotto voce da un bambino rauco.
Quelle parole sembravano sfiorarla, penetrando sotto i vestiti e accapponandoli la pelle. Tra le parole confuse, pronunciate in una lingua sconosciuta credete di riconoscere “Jingle bell”.
«…Cosa vuoi da me…» singhiozzò tra le lacrime, «lasciami stare.» La canzone finì e tutto fu nuovamente silenzio, da lontano si udì il fischio del treno, seguito dal suo classico sferragliare. Quasi contemporaneamente il lampione si spense gettando Lisa nella più totale oscurità, udì passi svelti alle sue spalle.
Terrore e speranza combattevano, mentre si gettava a capo fitto verso la stazione, muovendo più velocemente possibile le gambe. Riuscì ad attraversare la sala, ma venne raggiunta sulla banchina e gettata a terra, qualcosa le teneva i piedi. Vide il volto dell’uomo trasfigurato, come un ragno si arrampicava lungo il suo corpo.
Spalancò la gigantesca bocca.
Il treno si fermò proprio davanti ai due con stridere di freni. Il rumore acuto parve nuocere all’essere che rinunciò al suo attacco coprendosi le orecchie. Lisa approfittò dell’attimo e sferrò un calcio sulla bocca, vide il rosa del suo scarponcino macchiarsi di nero liquido.
Si mise in piedi gettandosi dentro le porte che si stavano aprendo. Il controllore venne quasi travolto. «Chiudi le porte» urlò Lisa. Il capotreno, dapprima esitante, vide la figura mostruosa rialzarsi, girò svelta la chiave e le porte si chiusero con uno sbuffo.
L’uomo si avventò contro le porte filandone il vetro, le sue mani però scivolarono perché il treno ripartì, bucando la notte con i gialli fanali.
Venti minuti dopo nella stazione arrivarono quattro macchine della polizia. Trovarono i cadaveri.
Nonostante avessero setacciato la campagna per tutto il giorno seguente, di Babbo Natale recuperarono solo il cappello.


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