Regali – Alfredo Crispo




Le luci dell’albero di natale tingevano le pareti di ogni colore, il salotto era immerso nella penombra, solo quelle minuscole lampadine impedivano a Giorgio di non urtare qualcosa.
L’uomo avanzò lentamente verso l’abete decorato, si sistemò la barba finta che gli procurava non pochi fastidi, ma per quella magica notte era disposto a fare quello e altro.
Vestito come l’eroe d tutti i bambini, il magico Babbo Natale, posò il grosso sacco di iuta che teneva su una spalla e lo posò accanto all’albero.
Ogni anno, la notte della vigilia, vestiva i panni del simpatico omone in rosso, per portare i regali al figlio Michele, che aveva ancora cinque anni.
Per il bambino il natale era ancora un motivo di gioia, così come per il padre che ogni anno si travestiva nella speranza che il figlio lo vedesse.
Giorgio aprì il sacco e depositò tutti i doni con cura, già pregustava il momento in cui il giorno dopo il piccolo avrebbe scartato i pacchi per poi esternare la sua gratitudine ai genitori.
Una volta sistemato l’ultimo regalo, afferrò il sacco con l’intenzione di recarsi all’uscita per poi rientrare dal retro.
Improvvisamente sentì un rumore provenire dalle scale, si voltò lentamente e capì che qualcuno lo stava spiando da li.
Un sorriso gli si allargò sulla faccia, era sicuramente suo figlio, finalmente anche lui avrebbe visto Babbo Natale.
Giorgio decise di rendere il momento più bello possibile per il piccolo.
Sul tavolino del salotto c’erano un piatto di biscotti a forma di abete e un bicchiere colmo di latte «ma guarda che leccornie» disse l’uomo imitando al meglio la voce di Babbo Natale «adesso mangio tutto oh oh oh».
Detto questo afferrò un biscotto e se lo mise in bocca intero per poi iniziare a masticarlo rumorosamente, «è proprio buono» disse con la bocca ancora piena.
Masticandolo non poté evitare di avvertire una sgradevole nota amara percorrergli la lingua, quel biscotto aveva qualcosa di strano.
Dopo aver ingoiato la pastafrolla, Giorgio iniziò a sentire la gola bruciare, un leggero dolere gli si propagò su tutto il petto.
Iniziò a tossire, gli mancava il fiato, si sentiva come se qualcuno gli stesse raschiando la gola.
Senza pensarci prese il grosso bicchiere di latte e lo bevve tutto in un sorso, ma non appena il liquido gli percorse la gola l’uomo sentì un bruciore ancora più intenso.
Giorgio si afferrò la gola con le mani, non riusciva a respirare, gli mancava il fiato, inoltre il bruciore si stava propagando anche allo stomaco.
Lentamente si accasciò la suolo, respirare era sempre più faticoso e la consapevolezza della morte imminente lo travolse come un treno in corsa.
Sempre tentando di inalare più ossigeno possibile, vide qualcuno scendere dalle scale, era suo figlio.
Il bambino fece pochi passi nella sua direzione per poi accovacciarsi per vederlo meglio in faccia.
Giorgio allungò la mano verso di lui e provò a parlare, venne fuori solo un indistinto gorgoglio, dopo di che la vita defluì da lui.
Il piccolo Michele rimase a fissare il padre morto per un paio di minuti, il suo volto era inespressivo, come se la cosa non gli interessasse.
Il piccolo prese il piatto che conteneva ancora i biscotti e lo gettò nella pattumiera, il veleno per topi che ci aveva spolverato sopra poche ore prima li aveva resi immangiabili, poi afferrò il bicchiere che conteneva il mortale cocktail di latte e candeggina e lo ripose nel lavandino tra le stoviglie sporche.
Lentamente, il piccolo andò verso le scale, salì lentamente i gradini che uno ad uno scricchiolarono sotto i suoi piedi producendo un rumore sinistro.
Andò verso la stanza dove dormivano i suoi genitori, aprì la porta e guardò verso il letto matrimoniale.
Sotto le coperte sua madre continuava a dormire, Michele le si avvicinò e le posò una manina sul viso.
Sul volto della bella donna erano ancora visibili i segni delle percosse del marito, uno zigomo era di un color viola intenso, mentre l’aocchio gonfio aveva tutta l’aria di una pallina da golf nera.
Michele le carezzò il viso con la mani «adesso non ti farà più nulla, Babbo Natale mi ha aiutato a farlo smettere» le sussurrò.
La donna, quasi come se lo avesse sentito sorrise per poi girarsi dall’altra parte, il piccolo Michele uscì dalla stanza, era ora di andare a dormire.
Il bambino tornò nel corridoio e notò una figura accanto alla porta della sua cameretta, era lui ne era sicuro «Babbo Natale?» chiese con il cuore pieno di felicità.
L’omone vestito di rosso si fece avanti con il più grande dei sorrisi «sono io piccolino» disse per poi esibirsi in una delle sue classiche risate.
Michele gli corse incontro per abbracciarlo, Babbo Natale ricambiò l’abbraccio e il piccolo constatò con gioia che l’uomo emanava un odore dolce, quasi quanto una cesta colma di caramelle.
L’uomo in rosso gli si inginocchiò di fronte e gli posò una mano guantata di pelle nera sulla spalla «allora hai fatto come ti ho detto?» chiese al bambino, Michele annuì con un grosso sorriso sulle labbra «adesso non farà più male alla mamma vero?» chiese speranzoso all’uomo, «certo che no piccolo» disse Babbo Natale per poi accarezzargli i capelli.
L’uomo afferrò un grosso sacco che teneva li vicino «adesso posso darti il tuo regalo» disse al bambino che iniziò a saltellare sul posto felice come non mai.
Babbo Natale aprì il sacco e Michele avvertì un odore strano, non molto gradevole, se avesse conosciuto lo zolfo lo avrebbe associato a esso.
L’uomo tirò fuori una console portatile e gliela porse «Buon Natale» disse al piccolo che afferrò il regalo senza fare cerimonie «e adesso a letto» gli disse ancora.
Una volta che il piccolo fu entrato nella sua cameretta, sul volto di Babbo Natale apparve un sorriso che non aveva nulla di buono, chi lo avrebbe visto non avrebbe potuto associarlo ad altro se non la cattiveria.
In un attimo l’uomo si dissolse in un nugolo di mosche, che uscirono dalla casa attraverso ogni pertugio possibile, per volare nella fredda notte della vigilia.


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