Recensioni – “Fuori è buio” di Eleonora Della Gatta




“Fuori è buio” di Eleonora Della Gatta è la nuova antologia horror Dunwich Edizioni recensita da LetteraturaHorror.it. Clicca qui e leggi trama e note sull’autrice.
A dispetto dell’implicita promessa contenuta nel titolo, quella di Eleonora Della Gatta è tutto fuorché un’antologia horror improntata sui più classici dei toni crepuscolari: tra i milleformi racconti che compongono la raccolta Fuori è buio, edita dalla Dunwich Edizioni, serpeggia infatti un’evidente predilezione per quegli scenari paesaggistici solitamente familiari agli abitanti del Mezzogiorno d’Italia.

Sorprendentemente, il sole rovente e i bagliori della macchia mediterranea risultano ancor più inquietanti dell’allungarsi delle solite ombre, ed è a quest’efficace espediente che l’autrice deve il successo dei racconti più riusciti della raccolta, tra cui Respiri di pietra, che il lettore potrebbe immaginare come la rivisitazione de Una notte al museo dal sapore medievale – ed evidentemente meno comico – o il più breve, ma ugualmente riuscito Is cogas, dove agiscono le suggestioni dei paesaggi sardi; o ancora, l’interessantissimo La secara, forse ispirato alle testimonianze dei classici (Plutarco, Properzio, Eliano) sui riti sacrificali praticati in alcune comunità in onore non solo delle consuete divinità, bensì di giganteschi serpenti ritenuti a guardia dei villaggi.

Ma nella policroma antologia di Eleonora Della Gatta gli echi sono molteplici, così è possibile rintracciare l’influenza dei temi più disparati tra quelli appartenenti alla tradizione horror: il vampirismo, intelligentemente rielaborato in veste floristica nel racconto Giardinaggio, o in quella squisitamente patologica di Anima Nera, l’invadenza delle presenze aliene tratteggiate in Al telegiornale e ne Il veterinario, il prevedibile vortice psichico de L’impermeabile blu, fino a giungere a tutte le sfaccettature del magico, del paranormale e dello stregonesco con le vicende da brivido della bibliotecaria de Una buona lettura o l’abilissima sartina de La maschera di carnevale.
Svetta su tutti per lunghezza e complessità il racconto Shiva, non più ispirato ai colori delle terre meridionali né tantomeno alle tinte cupe del filone gotico, quanto piuttosto al culto induista della Trimurti, filtrato in un quadro apertamente apocalittico e al contempo teso verso una riflessione sull’ opportunità della morte, grande bilanciatrice del mondo; riflessione del resto già avanzata con grande ironia da Josè Saramago nell’eccelso Le intermittenze della morte. Ancora una volta, all’ambientazione orientale si sposa il riferimento alla più nota letteratura latina, con un epilogo stranamente confortante che non potrà non ricordare il mito di Pandora, e che certamente dà prova della poliedricità delle influenze di questa giovane autrice.



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