Recensioni – Fornace di Livia Llewellyn




Fornace” di Livia Llewellyn è la nuova antologia horrorweird edita da Hypnos Edizioni e recensita da LetteraturaHorror.it. Per saperne di più leggi trama e note sull’autore
Novità da parte delle Edizioni Hypnos: l’editore milanese di Andrea Vaccaro continua a proporre, oltre ad autori del “weird” classico nella collana “Biblioteca dell’immaginario”, anche nuove voci appartenenti al cosiddetto filone del “Modern Weird”. Si tratta di un’uscita succosa ovvero di “Fornace” di Livia Llewellyn di cui era già stato pubblicato “Profondità” nella collana “Visioni”: il volume si presenta con un’accattivante copertina “horror” molto inquietante. La Llewellyn è originaria dell’Alaska come Laird Barron – di cui l’editore ha pubblicato il corposo “Cerimonia” uscito poi anche nella defunta Urania Horror – ed è stata 2 volte finalista agli Shirley Jackson Awards.

Ci troviamo di fronte ad una scrittrice particolare, la cui narrativa mischia abilmente horror ed erotismo. Il citato “Profondità” – in cui si narrava della città di Obsidia che ricorre spesso nelle sue storie – apparteneva al ciclo dei Miti di Cthulhu. Occorre però mettere subito in chiaro che, in questo “Fornace”, siamo molto lontani dalle atmosfere e dall’universo creato da H.P. Lovecraft e siamo invece più vicini ad uno scrittore come Clive Barker, soprattutto quello dei “Libri di sangue”.
Ammetto di non essere mai stato un fan di Clive Barker – almeno come scrittore non mi ha mai coinvolto eccetto qualche racconto sparso come “Macelleria mobile di mezzanotte” mentre apprezzo invece il regista – tuttavia non posso negare l’originalità della scrittura “visionaria” di Livia Llewellyn. E’ una scrittrice la cui narrativa potrebbe essere definita “viscerale”: la sua è una poetica della “nuova carne” che mi ha fatto venire in mente David Cronenberg.
Quelli di “Fornace” sono racconti disturbanti che scavano nelle pieghe più malate della mente umana: consiglio una lettura non superficiale e ponderata pena il rischio di perdersi e perdere così la sua poetica. La scrittura della Llewellyn tende a generare un flusso di parole delirante che potrebbe anche sconcertare qualcuno: tuttavia, magari dopo un iniziale sconcerto – se ci si abitua al suo stile se ne verrà ricompensati.
Non tutte le storie mi hanno preso però allo stesso modo: fra le mie preferite c’è sicuramente “Stabilimentum”, un horror futurista che deve qualcosa a James Graham Ballard: la vicenda è ambientata in un condominio immenso e infinito dove, in un appartamento asettico, iniziano a proliferare dei ragni: niente sembra poter fermare l’infestazione e, quando la protagonista chiede aiuto, verrà fagocitata in una dimensione inquietante e apocalittica.
Il racconto che dà il titolo alla raccolta ovvero “Fornace” era già stato pubblicato nell’antologia “Nuovi incubi” e conferma tutta la sua visionarietà: si tratta di una storia contorta in cui la realtà va in disfacimento lasciando spazio all’incubo.
Anche “Signore della caccia” mi ha colpito: una ragazza si reca in un negozio di anticaglie dove acquista la statua di un’antica divinità pagana risvegliando in questo modo delle potenze che dormivano da secoli: forse oggi Arthur Machen avrebbe scritto qualcosa di simile. Se proprio vogliamo trovare Lovecraft a tutti i costi ecco che la sua ombra emerge da un racconto come lo splendido “L’ultima, pulita, luminosa estate”: una famiglia parte da casa per recarsi in una località di mare dove avrà luogo una misteriosa “riunione di famiglia”. In realtà la “riunione” si rivela essere una vera e propria cerimonia iniziatica in cui un antica e gigantesca divinità femminile sorta dall’oceano deve continuare a generare la progenie a cui appartiene la famiglia stessa.
Detto questo la Llewellyn, come in tutti i suoi racconti, è molto spinta e non lesina certo descrizioni sessuali molto esplicite. Anche il primo racconto “Panopticon” è esemplificativo del suo stile e ci immerge in cupe ambientazioni dark mentre “E l’amore non avrà alcun dominio” è un lungo flusso incubico. Sicuramente “Fornace” è un’altra pubblicazione interessante che consiglio, in particolare, a chi aveva apprezzato un volume come “Nuovi incubi”.
Da sottolineare, infine, anche le incisive illustrazioni di Elena Nives Furlan che introducono ogni racconto. Astenersi seguaci dell’ortodossia “lovecraftiana”.

Cesare Buttaboni



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