Racconto: La Domenica Horror – Love and Hate – A Splatterpunk Tale di Federico Tadolini


Se vuoi pubblicare anche tu un racconto nella nostra speciale rubrica La Domenica Horror scrivici a redazione@letteraturahorror.it proponendoci il tuo racconto corredato da un’immagine, oggetto della mail dovrà essere “La Domenica Horror”. Ogni domenica verrà pubblicato un racconto horror!
LOVE AND HATE – A SPLATTERPUNK TALE
Non ricordo di aver mai avuto un amico, o perlomeno qualcuno con cui poter parlare liberamente.
Sono sempre stato considerato un diverso, uno da evitare e a volte sono sicuro che anche i miei genitori avrebbero preferito che io non nascessi, tranne quando mio padre mi marchiava la pelle con la cintura, o mi buttava i dischi nella spazzatura.
Già, la musica è stata la mia ancora di salvezza, qualcosa a cui aggrapparmi per farmi sentire vivo, percepire le vibrazioni del suono e ascoltare le parole che come un macabro ritornello risuonavano nelle orecchie dicendo di uccidere.
Passavo giornate intere in metropolitana, da solo in compagnia delle note sparate nelle cuffie, del mio giubbotto di pelle con le spille e della solitudine sempre presente.
E’ uno splendido scenario di tristezza, tutti sono di corsa, non puoi riuscire a farti notare, puoi anche decidere di suicidarti, l’importante è che non blocchi la circolazione dei mezzi. Chi scende nella metro con qualche problema esistenziale, avrà subito la tentazione di farla finita, uscire finalmente da soffrire in questo mondo pieno di disagio.
Avendo un sacco di tempo libero, mi fabbricai un rasoio ben affilato, vi incisi un teschio e le due parole chiave che rappresentano l’intera umanità: love and hate. Io però conoscevo solo l’odio, provavo schifo verso tutti, tranne che per la musica e satana. Col tempo le cose peggiorarono gradualmente, iniziai a sputare sangue, di un colore molto scuro, che mi fece ricredere alla mia convinzione che fosse di colore rosso per tutti.
Non riuscivo più a dormire e udivo dei suoni sempre più forti e insistenti, che una volta cessati mi portavano a vomitare con sempre maggiore frequenza.
Mi ritrovai sdraiato su un cazzo di letto dell’ospedale di Memphis, l’anticamera dell’inferno.
“Buongiorno sono il dottor Parker”
“quant’è che sono in questa stanza?”
“due giorni, sa che lei ha rischiato di morire?”
“non ricordo assolutamente niente”
“immaginavo, oggi la sottoporremo ad una serie di esami specifici, per venire a capo della cosa”
“non vedo l’ora”.
Gli esami consistevano in una sorta di tubo collegato ad un computer, ed un tipo che si incazzava a morte se mi muovevo di un solo millimetro.
“Mi scusi, ma non ha notato quel grosso gonfiore che ha sul petto?”
“non c’ho dato importanza”
“capisco”
“è qualcosa di grave?”
“come preferisce che glielo dica?”
“in fretta, perche me ne voglio andare da questo posto di merda” [SCARICA IL PDF E CONTINUA A LEGGERE IL RACCONTO]