Novella Natalizia N° 1 – Marco Cattarulla




Si sentiva grasso, stanco e depresso.
L’ultima visita del medico era stata negativa. Colesterolo a 250 e diabete a 200 e salutari dosi di insulina da spararsi nella pancia ogni santa giorno dell’anno.
Si guardò allo specchio facendo una smorfia parecchio sarcastica mentre fissava la sua immagine riflessa. Tre spessi rotoli attorno ai fianchi penzolavano come gigantesche labbra cadaveriche. Oltre alla pancia, ovviamente.
Senza dimenticare quei flaccidi lumaconi di grasso che sembravano enormi ed inguardabili tette.
E quando le gambe non lo avrebbero più sostenuto avrebbe trascorso quel poco che gli rimaneva da vivere sprofondato in una carrozzina. O in un letto matrimoniale rinforzato. E appena crepato, avrebbero buttato giù una parete della casa per farci entrare il braccio della gru e trascinare all’obitorio i suoi duecento chili.
Tornò in soggiorno, in mutande. Il camino acceso regalava il solito profumo di fuoco e corteccia. Le calze erano appese, Natale alle porte. Poteva capitargli qualsiasi disgrazia ma mai avrebbe rinunciato alle feste natalizie, se le sentiva dentro.
Raggiunse la sedia a dondolo, poi ci ripensò. Quando trascorreva troppi giorni senza dormire non sopportava la quiete, doveva a tutti i costi rimanere in piedi e consumare passi. E restare sveglio. Se si fosse sdraiato nel letto avrebbe perso la poca lucidità che gli rimaneva, iniziando a fare quei brutti sogni che lo tormentavano da mesi, ormai. Forse da anni.
Trovò sul tavolino accanto alla sedia a dondolo la cena avanzata dalla sera precedente. Quattro hot dog e bicchierone da 500 ml di Pepsi.
Ma non aveva bisogno neanche di mangiare.
Aprì il cassetto della credenza e ne tirò fuori una scatola di legno lucido. Estrasse la bustina di cocaina e uno specchio portatile. Poi frugò tra vecchie carte mal ordinate sul piano della credenza fino a trovare una vecchia Mastercard. Sorrise beato.
Fuori nevicava copiosamente.
Era il 24 dicembre.
 
L’orologio a cucù appeso alla parete segnava le ventidue. Mancava davvero poco.
Era fermo davanti all’enorme armadio di quercia che dominava tutto il soggiorno.
Si grattò distrattamente il naso ancora infiammato, poi ruotò la chiave della serratura. Il costume era lì, come sempre, assieme alla foto ingiallita dei suoi vecchi, piccoli amici. Raccolse la cornice e la contemplò per qualche minuto, e come tutti i 24 dicembre di ogni anno si chiese il perché.
Aveva sempre funzionato a meraviglia, erano una famiglia prima di una squadra. Costruivano, distribuivano, esaudivano. Bambini buoni e felici, alberi illuminati, profumo di dolcetti. E poi, tutto ad un tratto, i videogiochi, i telefoni cellulari, i personal computer. I contratti pubblicitari, gli appalti con le multinazionali per la fornitura dei giocattoli. Ma soprattutto la mancanza di fantasia, era quella che si era smarrita tra le strade delle città e i parchi giochi dimenticati.
Posò la foto dei suoi ex aiutanti e iniziò ad armeggiare con la cintura esplosiva. Doveva agire con calma, era molto sensibile. Terminate le manovre di allacciamento, passò ai bracciali e ai gambali, anch’essi addobbati da candelotti di dinamite.
Per ultimo rimaneva il costume. Fortunatamente era magico e si adattava a meraviglia ad ogni massa corporea. E poi quel rosso acceso camuffava al meglio la sua faccia triste.
Per quel Natale era stato obbligato a presentarsi in mondovisione alla consegna dei doni ai figli del Presidente degli Stati Uniti d’America. Centinaia di migliaia di persone ad assistere dal vivo e tutto il restante pianeta Terra a gustarsi Babbo Natale in diretta sulla BBC.
Si sarebbe fatto esplodere lì, e non aveva ancora pensato ad una frase da recitare prima del botto.
Probabilmente non avrebbe detto niente.


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