La fabbrica degli Elfi – Annalisa Platania




 I Domenica dell’Avvento

Sfavillanti luci natalizie, sembravano fare a gara con i fanali delle automobili in coda. Frotte di persone camminavano distrattamente lungo i marciapiedi. Leggeri fiocchi di neve planavano leggiadri su cappotti, berretti, ombrelli, alberi e automobili. D’un tratto le urla disperate di una madre in lacrime, scossero la tranquillità di quella moltitudine festosa. “Non trovo più mio figlio” gridava una signora scapigliata, dai capelli rossi. Il viso, impiastricciato di mascara, la rendeva simile a un pagliaccio tragicomico. Facce impietosite e preoccupate la attorniavano, mentre bambini impauriti, si nascondevano dietro i genitori.
Un uomo vestito da Babbo Natale, trascinava un grosso sacco di juta rossa, allontanandosi lentamente. Le luci si spensero all’improvviso, la strada, quella lunga e allegra serpentina, era ora lugubre e tetra, nessun suono festoso riecheggiava nell’aria gelida. La neve cadeva copiosa, uomini e donne, si strattonavano al buio gridando e gemendo mentre cercavano di scappare. Si sa, il panico si diffonde sempre rapidamente, molto più di quanto possa diffondersi la gioia.

II Domenica dell’Avvento.

La maestra, dispose i bambini in fila per due. Poi, insieme, si recarono alla mostra di presepi. I bimbi, con il loro spontaneo stupore, osservavano le preziose statuine artigianali. Alcune indossavano pregiate vesti di stoffa, altre erano dipinte con caldi colori luminosi. Interi paesini erano ricostruiti fedelmente, le casette si arroccavano sopra montagne di cartapesta, le lucine illuminavano i più piccoli dettagli. La maestra, sorvegliava la classe attentamente. Terminata la visita, il piccolo gruppo si avviò verso il pullman ma all’appello mancava Alice. La donna, cercò inutilmente la bambina dentro quelle sale affollate. Nessuno l’aveva notata.

Solo più tardi la maestra, avrebbe ricordato uno strano uomo vestito da Babbo Natale, aggirarsi per le sale trascinando un grande sacco di juta rossa.

III Domenica dell’Avvento.

Roberto e Michele avevano sei anni, ogni pomeriggio scendevano in strada a tirare qualche calcio al pallone. Quel giorno aveva piovuto e l’asfalto era scivoloso, così preferirono andare ad ammirare da vicino le invitanti vetrine del negozio di giocattoli. Non fecero mai più ritorno. La proprietaria del negozio, riferì di aver visto un uomo sospetto, vestito da Babbo Natale, con un sacco molto voluminoso sulle spalle.

IV Domenica dell’Avvento.

Quella domenica nella scuola frequentata da Caterina, si sarebbe svolta la recita scolastica.
Caterina, aveva sei anni, era un po’ più piccola dei suoi compagni e le era stato assegnato il ruolo di “aiutante di Babbo Natale”. Avrebbe preferito fare la bambola parlante ma quel ruolo era stato assegnato a Martina, la più graziosa della classe. La bimba, vestita da piccolo elfo, svoltò l’angolo e parve inghiottita dall’oscurità. Non un grido, non un lamento. Mezz’ora dopo, i bambini aspettavano di entrare in scena e i genitori prendevano posto nell’aula affollata. Solo Caterina mancava all’appello.
La recita fu sospesa e tutti andarono via stringendo i propri figli come se dovessero dissolversi nel nulla all’improvviso. Tutti, tranne i genitori di Caterina.
Interrogata dalla polizia la direttrice dell’istituto, confessò di aver notato un uomo corpulento, con indosso un vestito da Babbo Natale e un sacco troppo grande che pareva trascinare con fatica.

NATALE

Era ormai la vigilia di Natale e cinque bambini, quell’anno non avrebbero scartato il loro pacco sotto l’albero. L’identikit dell’uomo travestito da Babbo Natale, fu pronto in pochi minuti grazie alla minuziosa descrizione che ne avevano fatto i testimoni. Sin dalla prima Domenica dell’Avvento, gli inquirenti, erano sulle tracce di quella losca figura. La notte del 24, la polizia giunse dietro la porta di un anonimo appartamento, all’interno di uno squallido condominio di periferia. Una ghirlanda natalizia, accoglieva i visitatori. Gli agenti suonarono cautamente, non volevano destare sospetti. Passi frettolosi si avvicinarono nervosamente. Si tennero pronti a sparare. Invece la porta si aprì e un uomo molto corpulento e alto, li guardò con stupore. Indossava i panni di Babbo Natale, anche se non sembrava in procinto di uscire, anzi, calzava le pantofole e sul tavolo c’erano i resti di una frugale cena, interrotta dal suono del campanello. “Cosa desiderate?”, chiese l’uomo più sorpreso che preoccupato, “solo dare un’occhiata a casa sua”, disse un poliziotto sforzandosi di sorridergli. Così i quattro uomini in divisa, perlustrarono il piccolo appartamento, sotto il suo sguardo divertito. “So cosa state cercando”, disse l’uomo d’un tratto, mentre gli agenti stavano per andare via. Sorrise compiaciuto e scostò un tappeto rosso, posizionato sul parquet. Sotto c’era una botola, la aprì ed invitò i poliziotti a seguirlo. Accese una torcia e fece strada. Scesa la scala “Babbo Natale”, spinse l’interruttore e una lampadina che penzolava dal soffitto, cominciò a spandere la sua luce. Tutto attorno era un tripudio di colori, giocattoli, di diversa forgia e dimensione affollavano un lungo tavolo di legno. Un carillon, al quale l’uomo aveva appena dato la corda, emise le dolci note di White Christmas. D’un tratto uno dei poliziotti, scorse il sacco di juta sporco di sangue e subito dopo cinque piccole bambole, vestite da elfi. “Babbo Natale”, notato lo sguardo indagatore degli agenti, rise orgoglioso e disse “ora il mio laboratorio di Babbo Natale è completo, mancavano giusto gli elfi”. A quel punto fu tutto chiaro, il più giovane del gruppo, immobilizzò Babbo Natale, un altro gli mise le manette ai polsi mentre gli altri due, inorriditi, constatarono che i cinque elfi non erano delle bambole ma i bambini scomparsi, orribilmente impagliati e mummificati in pose plastiche, tutti e cinque avevano un finto sorriso in volto, guance dipinte di rosso e cappelli a punta. In tutto quell’orrore si dissolse per sempre la magia del natale.



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