L’Indicibile – Sergio Belsanti
– Buonasera comandante –
– Buonasera dottore. Mi spiace averla disturbata il giorno di Natale ma, mi creda, non ho potuto farne a meno –
– La situazione è così seria ? –
– Sono 10 anni che sono a capo dell’ UACV, l’Unità Analisi Crimini Violenti, e circa 20 che faccio questo lavoro. Ho visto efferatezze di ogni tipo, partorite dalle menti più perverse che si possano immaginare. Cose che neanche nei più truculenti film horror si sarebbero potute vedere. Ma questo…. questo le supera tutte. Due agenti della mia squadra sono dovuti ricorrere a cure urgenti. E anche io, confesso, non sto proprio al meglio…… Ma comunque….-
– La signora in che condizioni è ? –
– Il suo collega che è intervenuto sul posto le ha prescritto dei sedativi, più per copertura, credo, che per altro. E’ in uno stato di catatonia reattiva. Non parla, non si muove, non mostra nessuna capacità di interazione con l’ambiente. Sta seduta sul letto con lo sguardo fisso sul muro bianco. La mia idea, da profano, è che non riesca a scacciare dalla sua mente l’orrore che ha vissuto. L’orrore…….. non ho altre parole per definirlo –
– Il responsabile ? –
– Il marito. Attualmente è custodito in cella di sicurezza, piantonato a vista. Crede di riuscire a fare qualcosa ? –
– Non saprei, devo vederla prima. In traumi così gravi l’ipnosi regressiva ha dato buoni risultati. Ma prima devo valutare la situazione –
– Venga. Le faccio strada –
Era lì, seduta sul letto. Lo sguardo fisso sulla parete bianca. I muscoli serrati, quasi in preda a degli spasmi. L’espressione disegnata sul volto era un chiaro indizio di quello che aveva subito. La salutai ma, ovviamente, non rispose. Dovevo cercare altri modi per comunicare, per colmare l’abisso che separava la sua dalle nostre menti. Chi ha vissuto esperienze devastanti tende a isolarsi in una sorta di autodifesa autistica nei confronti del mondo esterno. Provai a fare appello a tutte le risorse che trent’anni di pratica clinica come profiler mi avevano fornito. C’era un lettore cd, mi feci portare un disco dei Saxon che avevo visto nell’altra stanza e lo inserii nel lettore. Il suono duro e roco dell’heavy metal sembrò distrarla, sembrò fare breccia nel buio della sua mente. E inaspettatamente, come un muro portante che cede di schianto, con le lacrime che le solcavano le guance, cominciò a parlare.
Perché, perché l’hai fatto ? – incominciò a gemere – perché, perché ….?
Provai a chiedere cosa fosse successo e, sempre più inaspettatamente, cominciò a raccontare.
Eravamo pronti per festeggiare il Natale come sempre, come tutti gli anni, noi due e i bambini. E all’improvviso, non so cosa successe, né perché, ma l’orrore ebbe inizio. Mi immobilizzò sul divano, chiuse in camera i bambini e iniziò.
Senza che potessi impedirlo tirò fuori un albero di Natale, che si era procurato chissà come, ed inizio ad addobbarlo in tutti i dettagli, con le luci, le palle, i festoni, l’angelo in cima, i biscotti appesi ai rami, il puntale. Poi prese dei lunghissimi fili di luci e inizio a stenderli tutto intorno ai balconi accendendole in seguito tutte insieme. Prese da degli scatoloni che aveva portato a casa qualche giorno prima, mio Dio aveva premeditato tutto, prese decine di regali, tutti impacchettati con la carta colorata e con i fiocchi, e li mise sotto l’albero. Poi apparecchiò di tutto punto la tavola, con i piatti di porcellana, le posate d’argento, il centro tavola ed i centrini, le candele rosse, i portatovaglioli….. Andò a prendere i bambini, ammutoliti dal terrore, e li fece sedere intorno alla tavola mentre lui, che Dio possa perdonarlo e avere pietà della sua anima, si vestì da Babbo Natale mettendo un disco che suonava Jingle Bells e White Christmas. Poi mi costrinse a sedere intorno alla tavola, accanto ai bambini, e versando dello spumante nelle coppe, ci alzò le braccia per un brindisi. L’ultimo ricordo che ho, prima di svenire sopraffatta dall’orrore, e di lui che costruisce un presepio con tanto di muschio e neve finta. Poi più nulla…..
All’improvviso si fermò e ricadde nel suo stato catatonico. Ma fu troppo anche per me. Corsi fuori dalla stanza e, come un novellino al suo primo caso, diedi di stomaco.
E per anni non riuscii più a scrollarmi di dosso l’orrore di quella sera e l’espressione di quella povera donna che era riuscita a raccontare e a dar voce all’indicibile….
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