L’incontro delle due Jenny – Ethel Vicard




Prologo: Quando Jenny iniziò a pensare
 
Era seduta di fronte la finestra della sua camera, la scrivania di legno di mogano era lucida e con ogni oggetto al suo posto. Il fermacarte, ricordo di quel viaggio in Grecia era messo pericolosamente in bilico sul bordo e una tazza di caffè fumante aveva occupato il suo posto.
Jennifer scriveva convulsamente, lettere veloci e sinuose riempivano il foglio bianco (e quanto tempo era che non utilizzava carta e penna!), la mano sinistra scorreva e così disegnava il romanzo di una vita passata e di un ricordo mai avuto.
Musica classica di sottofondo bruciava l’anima, lo scoppiettare del camino quasi spento gettava ombre truci su quei cocci di un’anima solitaria, illuminata ora da una falce di luna nascosta dalla tenda a fiori verdi.
Erano le due di notte, l’ora perfetta per dormire ma la migliore per far ordine nei propri pensieri. E non c’è modo migliore di far luce sul proprio inconscio che mettere sulla carta quello che passa per la testa, così da liberarsi la mente e cercare di ricordare tutto quello che era accaduto. Nonostante tutto, sembrava che la mente non avesse alcuna intenzione di collaborare, stanca lasciò cadere sulla scrivania la penna, e posò la schiena alla sedia sospirando pesantemente. La mano destra dalle dita sottili e ormai piene di macchie andò ad accarezzarle il dorso del naso, sul quale gli occhiali avevano lasciato il segno degli anni passati e le palpebre sottili lentamente si abbassarono per andare ad aprire le porte della notte a Morfeo.
 
Capitolo I: Un battito di cuore in meno al mondo.
 
«Lucy! Alzati! E’ tardi!» la voce squillante di Jennifer risuona per il bilocale dentro al quale troneggiano un paio di scatoloni con sopra scritto con un pennarello nero “Decorazioni”. Jennifer sbuffa bussando ora con più foga alla porta della stanza «Santo cielo siamo in ritardo! Avevamo promesso ai tuoi un Natale come i bei tempi, non mi far fare brutte figure, non quest’anno di prego!» urla ancora, girandosi di spalle e scuotendo il capo mentre torna nel piccolo salotto. «Inizio senza di te, e te la farò pagare, ti avverto!» getta una voce dall’altra stanza sperando di esser sentita e iniziando quindi ad aprire le varie scatole con la lama di un paio di forbici. Arriccia le labbra iniziando a sbrogliare i nodi delle luci dell’albero di Natale e accende la radio, un po’ di Rock non farà di certo male ai vicini.
Le ore passano lente e inesorabili, al ritmo di un Rock che non sa ancora di quello che ormai è stato. Nessun si è ancora accorto di quel suono in meno al mondo. Nessuno si è reso conto di quel cuore che più non batte, di quell’anima che fuggita dal corpo martoriato ora vaga in pena per il suo destino.
 
Capitolo II: Sangue e ruggine non son fatti per decorare gli alberi di Natale.
 
La stanza di Lucy è vuota. Non un cadavere. Non un vestito fuori posto. Solo sangue a decorare ogni cosa, solo piccole schegge di vetro quasi invisibili ad occhio nudo. Jennifer entra di gran passo nella camera della fidanzata, è quasi ora di cena e ancora non si è fatta viva «Santo cielo che fine hai fatto?» domanda isterizzando prima di accorgersi che qualcosa non torna. La musica si interrompe e ogni cosa ora tace. Tace la luna, nella sua splendida gobba a levante e tace Jennifer, sgomenta alla (non) vista di ciò che ha di fronte. Il cellulare inizia a vibrarle nella tasca, un ronzio fastidioso che le ricorda che non è un sogno quello in cui si trova.
Un ronzio fastidioso che sembra riecheggiare in quella camera spoglia di ogni cosa.
 Panico.
Silenzio.
Muove un passo e l’odore di sangue le penetra le narici.
Panico.
Nausea.
Cade per terra, perdendo i sensi.
I genitori di Lucy arrivano dopo le ventuno di sera e la casa è silenziosa, Jennifer è seduta sul pavimento, piena di sangue e con pezzetti di vetro conficcati lungo le mani e le braccia (sembra abbia cercato nella stanza un perché a quella scomparsa).
Suonarono le sirene a far da sottofondo alle melodie degli zampognari.
Suonarono le sirene e schioccarono le manette attorno ai polsi tremanti di Jennifer.
Si chiusero le sbarre per dieci lunghi anni per omicidio premeditato e occultamento di cadavere.
 
Epilogo:Come l’altra Jenny prese l’iniziativa
 
E mentre dormiva si svegliò e Lei iniziò a scrivere.
«Dormivi mia amata sorella. Ed eri troppo buona per poter fare quello che doveva essere fatto. Non potevo sopportare oltre il tuo dolore, le frecciatine dei suoi genitori che ancora vi consideravano delle fallite, solo perché non amavano un uomo. Non potevo sopportare ancora le richieste di Lucy di avere pazienza. Tu ne hai avuta fin troppa. Io no.
E così, quando Morfeo ti è venuto ad abbracciare le ho detto tutto. Ha iniziato a piangere. E io non sopporto quando la gente piange. Era fragile, troppo fragile. Fragile come il tavolo di cristallo contro il quale si è infranta la sua giugulare.
Non c’è voluto molto per portarla nel sottoscala. Non c’è voluto molto per buttarla lì, fra quegli scatoloni che tanto odiava perché erano “disordinati”: ma quelli erano gli scatoloni dei NOSTRI ricordi.
Ti ho odiato in quel momento, avrei dovuto uccidere anche te, ma tu, stupida piccola, pensavi che fosse tutto un incubo. Ti sei svegliata sul tavolo della cucina e troppo buona, come sempre, non sei neanche andata a controllare la vostra camera da letto, non la volevi svegliare tu.
Ma tranquilla, ora è passato tutto.
Ora lei non c’è. E fra poco, lo sbiadito ricordo che ho di te, svanirà. Solo io vivrò in questo corpo e finalmente potrò smetterla di soffrire sotto la sua inutile ombra.”
La penna ricadde sul foglio e il tagliacarte fu preso dalle mani tremanti di Jennifer. I suoi occhi verdi adesso sembravano luccicare d’ambra, pagliuzze dorate che presero il sopravvento nel suo sguardo famelico. Fu un attimo, e la punta veloce si conficcò nella gola dell’anziana donna “Buon Natale vecchia mia” ebbe il tempo di gorgogliare, prima di ricadere sulla scrivania e macchiar di sangue le confessioni dell’altra lei.


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