Il regalo di Natale del piccolo Jimmy – Marco Orlandi
Una gocciolina di bava cadeva, ripetitiva, sul nuovo maglione di lana rossa con gli alberelli di natale ricamati dalla mamma. Si era addormentato con la piccola bocca mezza spalancata e, costante, un filo di saliva, lanciandosi giù, sporcava la lana. Jimmy era lì dalle nove ad aspettare Babbo Natale; aveva preparato il latte e la mamma, nel pomeriggio, aveva sfornato i biscotti con le gocce di cioccolato che gli piacevano tanto. A intervalli irregolari ne rosicchiava uno, pensando bene di lasciarne anche al suo atteso ospite per il momento in cui si sarebbe fatto vedere. Tutto intorno era fermo. Il rosso e il giallo del focolare riempivano la stanza della magica atmosfera del 24 di dicembre. Le fiamme leggere disegnavano le ombre e sfumavano i contorni, tutto era magia. L’Albero di Natale riposava silente accarezzato dal tepore del fuoco, e le calze di lana appese al nero marmo del camino, calde, attendevano d’ esser riempite. Jimmy riposava, stanco, abbracciando il suo piccolo beagle che, d’un tratto, si destava per riprender subito il quieto riposo. Sul pesante tavolo di legno del salone, con crepitare leggero, una candela consegnava i suoi ultimi momenti di vita mentre lo stoppino moriva nel caldo della cera.
Ma era giunto il momento che tutto accadesse.
Suono di campanelli e di zoccoli delle renne si faceva strada dal tetto, e nella stanza risuonava. Cenere incrostata sui mattoni di cotto lungo i muri del camino veniva smossa, e cadeva leggera: una danza di cenere e fumo che si inchinava sulla legna fumante nel focolare. Jimmy si era destato, incapace di comprendere se il sonno lo ingannava o davvero stava per realizzarsi il suo sogno più grande. Lo sentiva, era ormai vicino. Negli occhi viveva la speranza di vedere il vecchio dalla bianca barba calarsi giù col suo enorme sacco, mentre ormai distinto si sentiva il rumore del grattare attraverso il camino. Qualcosa si stava calando, l’emozione raggiungeva il momento più alto. Eppure il suo piccolo cane non condivideva la gioia; tra le zampe nascondeva il muso e tremava, appiattito sulla stoffa rossa della poltrona. Jimmy non lo guardava; era impietrito, pietrificato, paralizzato. Conteneva l’emozione perché incapace di fare altrimenti, non riusciva neanche a chiamare la mamma che, serena, riposava, lontana due stanze, inconsapevole della “guardia” notturna del bambino per l’incontro con Babbo Natale. Il fuoco, soffocato dalla cenere che ormai copiosa cadeva giù come inchiostro nero, moriva. Tutto nella stanza si spegneva e diveniva freddo. Ora sul bicchiere del latte c’era una strana condensa e dalla bocca del piccolo Jimmy, a ogni respiro emozionato, avanzava un bianco vapore. Un gelo inusuale aveva conquistato la stanza, come se insieme al fuoco fosse morta anche la speranza. Non più ombre definite; non più crepitare leggero del fuoco che, rassicurante, illuminava i contorni dell’alto abete addobbato e delle ghirlande appese sullo stipite delle porte. Tutto era buio e morto, e opprimente, e pesante.
Jimmy non aveva paura, non si era accorto di quello che intorno gli stava accadendo. I suoi occhi erano l’unico bianco che, ormai, nel nero del salone, si poteva distinguere. Dal camino avanzava una figura, regale. Il piccolo non distingueva né il rosso né il bianco del suo costume, né la barba o i grossi stivali; vedeva solo nero, e un largo cappuccio. Da un lungo mantello nero come la pece facevano capolino due nudi piedi, magri, viola, morti. Le mani, d’un bianco e d’un viola mai visto, stringevano una lunga falce che tagliava l’aria e sibilava nel silenzio. La figura portava una catena spezzata al piede destro; un anello arrugginito gli cingeva la caviglia seguito da pesanti congiunzioni di ferro nero che strisciavano sul legno del parquet; lo rigavano, emettendo un suono simile a un campanello di Natale. Sul tetto si poteva sentire distinto il nitrito del suo nero destriero; non ha redini, non ha freno, conosce la strada per comando divino. La nera figura non scopriva il viso rimasto celato dentro il cappuccio; lontani e profondi si osservavano due occhi grigi, vitrei, senza pupille e senza amore. La nera mietitrice fa quello per cui è stato creta, quello per cui è nata. Non conosce la pietà, non può conoscere l’ amore, fosse anche per un bambino nella notte di Natale. Sulla gialla pergamena vede comparire i nomi di coloro per cui il tempo è giunto, e ne prende l’anima con la falce argentata come la luna. Jimmy non poteva piangere e muoversi dinanzi a quella regale signora vecchia di secoli e millenni. Non comprendeva cosa stava succedendo, non poteva provare emozioni; la sua anima ormai stava volando. Non l’ aveva mai incontrata eppure la riconosceva, come un familiare.
La nera mietitrice si inchinava alzando la falce. Jimmy cadeva, freddo e bianco, sul tappeto di porpora rossa. Cosi finiva l’attesa dell’incontro. L’anima nera si dissolveva e tornava il tepore; il fuoco,lento, si riaccendeva; la magia del Natale era tornata. Il cane abbaiava forte, passata la paura, svegliando una famiglia che non sarebbe stata mai più felice.
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