Evento – Recensione: “Dracula e il mito dei vampiri” alla Triennale di Milano


È il Bram Stoker’s Dracula del 1992 diretto da Francis Ford Coppola ad aprire il percorso della mostra “Dracula e il mito dei vampiri”, che accoglie i suoi visitatori proprio con le immagini iniziali del film le quali, ripetendosi in loop, raccontano la conversione del principe di Valacchia Vlad III che rinnegato Dio diviene un vampiro, anzi, “il” vampiro, Signore delle tenebre e progenitore della sua specie.
Tenendo come traccia proprio la distinzione-commistione tra il personaggio storico e quello fantastico su cui gioca lo stesso Coppola, nella prima sezione la mostra si propone di tracciare una sorta di confine tra storia, folclore e letteratura, inseguendo la controversa figura del Dracula reale nella sua progressiva fusione con le più remote credenze popolari sui vampiri (peraltro molto diffuse nei Balcani e tra le popolazioni slave) e con i racconti europei del XVIII e XIX secolo sul tema, per arrivare infine proprio al celebre romanzo dell’irlandese Bram Stoker, nella cui creatura narrativa sono riassunte e sedimentate le contaminazioni subite dal voivoda Vlad l’impalatore nel corso del tempo.
Da ammirare, soprattutto per i bibliofili, la copia originale datata 1897 di Dracula, autografata dallo stesso Stoker con una dedica alla madre, una vera chicca per gli amanti della letteratura e del collezionismo.
L’itinerario prosegue con due ulteriori sale. Nella prima, ad attirare l’attenzione è l’allestimento di grandi casse scure utilizzate per l’esposizione, che rievocano evidentemente quelle di cui il “Conte” si serve per trasportare la terra del paese natio durante i suoi spostamenti. L’idea piuttosto comune e più tradizionale di un figlio della notte viaggiatore, colto e aristocratico, crudele ma romantico, viene suggerita dalla riproduzione dello “studio del vampiro”, immaginato dall’architetto Italo Rota, in cui troviamo il “nécessaire” fatto di ampolle per la conservazione del sangue, strumenti per la flebotomia, dagherrotipi delle vittime e souvenir delle città attraversate o scelte come dimora.
Nella seconda, si può tranquillamente sorvolare il collage fatto di brevi spezzoni di pellicole dedicate ai demoni dai canini aguzzi, per osservare invece una parte dello storyboard e il copione, entrambi originali, sempre del film di Coppola. Degne di nota sono, infine, la diabolica armatura indossata da Gary Oldman, studiata e disegnata dal premio oscar Eiko Ishioka e, per gli appassionati di Crepax, le tavole autentiche della sua opera del 1985 Conte Dracula e quelle, mai esposte prima, che rappresentano Valentina in un intimo incontro proprio con Dracula.
La mostra da l’impressione di essere stata allestita ad hoc sulla scia della fortuna che i vampiri “a misura di scaffale” hanno riscosso negli ultimi tempi, mai come in questo caso la metafora del non-morto succhiasangue si presta alla più semplice e intuitiva delle associazioni.
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