Damon Gallagher in Killing Santa Clause – Simone Censi
Il piccolo Mike si svegliò per primo quella mattina, tanta era l’emozione per l’avvenimento che dormì pochissimo quella notte. Sollevò le coperte e infilò le ciabatte e poi via come una scheggia fuori dalla sua cameretta.
Una corsa perdifiato ancora in pigiama, al piano di sotto lungo le scale, lo divideva dallo scartare i regali di Natale. Li avrebbe scartati senza aspettare nessuno, troppa era la voglia di vedere realizzati i suoi desideri da bambino.
La lista nella letterina era bella lunga, ci aveva messo parecchio a scriverla e aveva dovuto fare anche ammenda per le marachelle compiute nell’anno che si stava per chiudere e deferenti promesse di una condotta migliore per l’anno che stava per entrare.
Avrebbe fatto qualsiasi cosa ed ora finalmente poteva ammirare i pacchi avvolti dalle carte colorate e dai nastri scintillanti, che erano già schierati sotto l’albero addobbato.
Si avventò subito sulla prima scatola che aveva a portata di mano, la agitò e la portò all’orecchio per indovinarne il contenuto già prima di aprirla. Alzando lo sguardo notò sopra la sua testa, agganciata ad un ramo che sporgeva particolarmente rispetto agli altri, una palla di Natale luminescente.
Era una di quelle sfere a specchio che se cadono a terra si frantumano in un miliardo di piccoli pezzi che si ritrovano in giro per casa per tutto l’anno successivo. Era lì, emanava una luce propria e rimandava l’immagine del bimbo ancora in pigiama insieme ai sui sospirati regali, ma era particolare, aveva come un’ aurea speciale che gli altri addobbi non avevano.
Il piccolo Mike si alzò incuriosito, si avvicinò allo strano oggetto con i suoi grandi occhi increduli da bambino e con l’indice ne sfiorò la superficie riflettente che rimandava la sua immagine. Stranamente il dito del piccolo Mike sembrò come penetrare la superficie di quella sfera, come se la materia non facesse resistenza al suo contatto, mentre dalla sfera era come se l’immagine riflessa era quella di un bambino che tirava il dito di Mike verso il suo interno. Non era il solito Mike quello riflesso, era un bambino che gli assomigliava, ma aveva uno sguardo cattivo, uno sguardo che nemmeno la mamma avrebbe amato e nemmeno lo sguardo severo del papà avrebbe retto.
La sfera ad un tratto smise di rimandare l’immagine del piccolo Mike, perché non c’era più una immagine da rimandare. Nel silenzio più assoluto della mattina di Natale quando ancora tutti dormono, i pacchi rimanevano l’uno a fianco l’altro sotto l’albero addobbato a festa.
Il piccolo Mike non aprì più i suoi regali, non mandò più lettere a Babbo Natale e soprattutto non lo fece nemmeno per gli anni a venire.
Un dito adunco di una mano aggrinzita che terminava con una unghia giallastra e ricurva, tirò giù la palla luminosa dall’albero e venne riposta in una sacca di pelle legata alla cintola.
Con mantello e cappello rosso, entrambi lisi e sgualciti, ricurvo e un po’ ingobbito, silenzioso e con passo furtivo, si allontanava verso l’uscita portando con se il ricco bottino. Non una esitazione, né un minimo di umana compassione, portava via con sé da quella casa la felicità.
In molti si apprestavano a vivere le meritate e magiche festività natalizie insieme ai propri cari, davanti una tavola riccamente imbandita o intorno ad un caldo focolare con vicino un albero addobbato e tanti regali ai suoi piedi da scartare, ma qualcuno non poteva immaginare che “L’Uomo rosso” sarebbe passato a fare una visita. Io invece lo sapevo. L’Agenzia mi aveva mandato a seguire quella pista, c’erano già state altre segnalazioni, sapevamo che doveva colpire e più o meno sapevamo anche qual’era la zona. Dovevo solamente essere veloce perché con questo genere di esseri, basta un secondo, volgere lo sguardo altrove, lasciare un seconda la presa e questi scherzi della natura scompaiono nel nulla e poi non c’è verso di riacciuffarli.
Babbo Natale non esiste! Sappiatelo! Esiste invece quell’essere alto la metà di un uomo, vestito di rosso con un cappello, capelli grigi e viso rugoso, che Yeats chiamava Fear Dearg, “Uomo rosso”.
Non sempre erano malvagi, ma quello a cui davo la caccia io da un po’ di tempo lo era veramente, solitamente quella specie si divertiva a fare degli scherzi per lo più macabri, ma questo era diverso.
Andava vestito come Santa Clause il periodo di Natale, o in verità il suo vestiario abituale era molto rassomigliante a quello del natalizio beniamino, anche se la stazza era più quella di uno gnomo che confezionava regali.
Con questo stratagemma poteva tranquillamente permettersi in quel particolare periodo dell’anno, di aggirarsi indisturbato per le città senza essere notato e in questo modo poter mietere un gran numero di vittime. E’ incredibile come la gente non faccia caso a quello che incontra per la strada.
Aveva qualcosa di strano, rispetto agli altri della sua specie, era terribilmente malvagio, c’era solamente da capire se era una anomalia o se a sua volta era sotto l’effetto di una influenza cattiva. C’era da capire, ma io non ero stato mandato li per capire e soprattutto ne aveva combinate talmente tante che oramai il capire per lui non valeva più. Mi avevano mandato li per una cosa e una soltanto. Come aprì la porta per uscire dalla casa del piccolo Mike, il finto gnomo si trovò la canna della pistola piantata tra gli occhi e appena sotto quello stupidissimo cappello. Non fece a tempo nemmeno a barattare la propria vita con un pentolone di monete d’oro che gli piantai in testa una palla da 9 millimetri prima che potesse sparire. Da morti incontrano dei seri problemi a dileguarsi. Con un sacco nero per l’immondizia lo impacchettai e lo portai sotto braccio fino alla mia macchina parcheggiata li vicino, stipandolo nel porta bagagli. La famiglia del piccolo Mike non si è mai più riavuta da quella volta che videro il proprio figlio rapito da uno sconosciuto la mattina di Natale.