Creepy Christmas – Mattia Vercellato
Non tutti stanno a casa con le proprie famiglie nel periodo natalizio: ristoratori, medici, forze dell’ordine non riposano. Nemmeno le prostitute.
È il 21 dicembre e sono a lavoro, come al solito. Questa volta il mio capo mi ha assegnato la zona di Brickell Avenue. Una brutta zona, a sentire dalla gente perbene. Strano però. Non passa nessuno. Nessun automobile, nessun anima viva: tutto è morto. Eppure questa è un’avenue molto trafficata. No, non può non passare nessuno, non voglio stare sola. Non posso rincasare senza incasso. Non voglio essere punita dal principale. Non voglio creargli problemi. Ho bisogno di soldi, devo studiare. Voglio un futuro, una famiglia. Non voglio più non esistere.
Già, perché quelle come noi non esistono. Siamo solo parte dell’arredo urbano, nulla più. Per gli uomini siamo una tentazione, una sfida. Come credo lo sia un semaforo giallo. Le donne sono più spietate, ci considerano pari a un cestino della spazzatura. Anzi, pari agli stessi rifiuti. Lo capisco da come ci guardano: avverto l’odio nel loro sguardo. Vedo come stringono a sé i loro uomini. E, mentre lo fanno pensano put…
inaspettatamente sento uno scampanellio, lontano. Forse arriva qualcuno, spero sia interessato a me! Sorrido all’idea di avere un Babbo Natale come cliente. Lo cerco con lo sguardo ma non riesco a vedere nessuno. La speranza si è già spenta, la campanella non risuona più. Resta muta.
Comincio a passeggiare lungo il marciapiede. Intanto il freddo si fa pungente, la notte sempre più nera. Le luci dei lampioni paiono salire verso il cielo. Sempre più distanti. Paiono stelle lontane, incapaci di illuminare.
Odo di nuovo lo scampanio, più vicino.
Chiunque sia si sta avvicinando. Continuo però a non capire da che parte arrivi, nel buio scorgo solo fiocchi di neve. Fiocchi che cadono al suolo.
Sto male.
Anche io crollo. Verso il buio. Un buio palpabile, deprimente, che occlude la vista, l’udito, Il cuore! E la speranza.
Si, è giusto che sia così. Giusto che quelle come me cadano. Hanno tutti ragione a dire che sono una puttana, che sono un’ipocrita a mascherarmi da ragazza oppressa. Avrei potuto cercare un altro lavoro. Sono solo una delle tante mele marce che fanno marcire l’albero, la gente vuole il mio crollo! Devo cadere in fretta per non causare troppi danni alla società. Sì, almeno in qualcosa sarò utile. Mi schianterò al suolo, esploderò. Come una mela marcia, spargendo ovunque le mie frattaglie.
Improvvisamente risuona vigorosamente lo scampanio.
Ciò mi fa tornare alla realtà. Come un elettroshock che risveglia dal coma. A che pensavo?! Ragionavo come chi ci odia. Facevo fantasie macabre! Cosa mi succede? È per questo buio che mi entra dentro? Ho paura. Sento la neve crepitare, sento dei passi, è vicino. Lo cerco a tentoni nel buio non trovandolo:sento solo molto freddo. Un freddo innaturale, di quelli che entrano nelle ossa. Un freddo che brucia e corrode dall’interno. Piangendo, tento il tutto per tutto.
“C-c’è qualcuno? N-non vuoi farmi del male v-vero?! ”
“No.”
Corro via, questa volta era vicinissimo: quel no era un sussurro all’orecchio. Durante la fuga una flebile luce rossa-blu illumina debolmente i miei passi. Che succede? Ruoto la testa ma non vedo nulla. Eppure sento la sua presenza. Non guardando dove corro, scivolo su una lastra di ghiaccio. Cado di nuovo, realmente stavolta. Tento di rialzarmi. Scivolo. Nella caduta si è rotto un tacco. Disperata gattono verso il bordo della lastra, mi rialzo e riprendo a fuggire.
Il suono diabolico ritorna, più assillante di prima.
Si sta riavvicinando, confuso col buio. È come se fosse il buio stesso. Non mi volto più a cercarlo: non voglio concretizzarlo, gli darei solo un’arma: cadrei nel panico e non sarei più in grado di fuggire. È già difficile così col tacco rotto! L’unica cosa ad aumentare nella fuga, è il mio rantolare il respiro pare ormai un latrato! No, così non ce la posso fare. Mi fermo.
Caro lettore, se stai pensando che mi sia arresa ti sbagli.
Sfilo lo stivale sinistro. Poi, ruotando su me stessa, lo scaglio alla cieca. Riprendo a correre, udendo imprecazioni. La fuga è più rapida. Svolto a sinistra in una via illuminata, costellata da automobili parcheggiate. Tutte completamente ghiacciate, come i muri degli edifici. Non può essere un freddo normale. Continuando la mia corsa disperata,devio a destra e di nuovo a sinistra. Dovrei averlo distanziato. Mi nascondo dietro a un’automobile ridotta a un blocco di ghiaccio. Frugo nella borsetta cercando il cellulare, devo chiamare qualcuno che possa soccorrermi. Tocco qualcosa di piccolo ed estremamente freddo, lo estraggo.
“Ma che…”
Il cellulare è un blocco di ghiaccio. I tasti inutilizzabili, lo schermo incrinato. È un apparecchio completamente inutile, morto. Morto assiderato. “Diavolo, ho già perso troppo tempo!” Esco dal mio nascondiglio e riprendo la fuga.
Mi blocco.
Lo scampanio è fortissimo.
Un Babbo Natale si staglia di fronte a me. Il suo corpo emana quel freddo glaciale, e quell’ombra che avvolge tutto. Di nuovo ogni cosa è cancellata, esistiamo solo noi due. Anzi solo lui, io non esistevo già prima. Ma la cosa più spaventosa è il volto. Sembra che si sciolga, sembra un mascherone in cartapesta ancora bagnata.
“Sei stata cattiva”.
Nel dire questo, la mascella si deforma orribilmente pendendo verso il basso. Il Babbo si avvicina, mi colpisce con la campanella rovesciandomi in terra. Si china su di me, alzando il braccio e colpendomi di nuovo facendomi svenire. Riesco a sentire uno sparo. Poi scompare anche Babbo Natale.
Rivengo in un’ambulanza. La testa pulsa dal dolore e toccandola sento un bendaggio. Accanto a me siede un’infermiera, che si rivolge a me:“Sei stata fortunata che l’agente Sint Nicholas pattugliasse il quartiere. Sono stati trovati cadaveri di donne in questa zona, tutte violentate. Babbo Natale non può più nuocere, non sei tu la sua ultima vittima”.
“Ora però salvatemi anche dalla mia testa, per favore.” Rispondo piangendo.